[Castellinaria] La Pivellina

Adesso che Castellinaria è finito poso riprendere a scrivere le recensioni con un po’ più di calma. La Pivellina fa parte del concorso 16-20 e racconta le apparentementi semplici vicessitudini di una donna che, cercando il suo cane, trova un bambina abbandonata e decide di ospitarla tentando nel frattempo di ritrovare la madre. Quando però si scopre che la vicenda si svolge in una periferia malandata di Roma, per la precisione San Basilio, che le persone che accolgono la bambina vivono in container e roulotte, che gli ospitanti non hanno un lavoro stabile e gravitano attorno al mondo del circo e degli spettacoli di strada, ecco che la storia dalla trama semplice diventa intrigante ed impegnativa. I rapporti tra gli uomini e le donne che concorrono a questa accoglienza e i loro comportamenti sono un continuo delinearsi e ribaltarsi di opinioni e di idee da parte del pubblico, continui gesti di affetto incondizionato e di speranza di vita, di rapporto benevolo e di gioco in un ambiente desolato. Particolarmente interessate i rispettivi modi di accogliere la bambina da parte di Patti e da parte dell’apparente marito Walter: la prima si butta senza freni nella vita con la bambina, chiamata Asia o Aia dai presonaggi, accudendola e amandola nonostante le difficoltà; il secondo rimane un po’ più staccato, essendo più realista e più conoscio dei rischi rispetto a Patti, ma, nel corso del film, si riesce a cogliere il percorso d’amore che Walter compie verso la bambina. Intressate anche il rapporto che si viene a creare tra Tairo, un vicino di container, e la bambina: una complicità subito affettuosa e libera da ogni pregiudizio dove Tairo si erge a figura paterna per la bambina, forse colmando così un suo vuoto infantile venutosi a creare per la mancanza del padre per lui. La rigista e il regista ci presentano così un film diverso dal solito: la bambina, non viene accolta da una famiglia benestante di una grande metropoli, ma dai più reietti della città, costretti a rubare l’acqua dalle fontane e spostamenti lunghissimi per un po’ di lavoro. Un lungometraggio che contiene anche tanti aspetti di critica sociale, per esempio i pregiudizi verso chi vivie in modo diverso e la desolazione della priferia. Il finale che Tizza Covi e Rainer Frimmel ci offrono è completamente aperto e lascia spazio all’immaginazione dell* spettat*, scelta di regia, ques’utlima, che ricorre spesso nei film di Castellinaria. Un ultimo appunto più teorico ma utile alla comprensione: questo film è uno dei tanti che va ad iscriversi nelle opere frutto del neorealismo italiano che, sintetizzando all’osso, vuole rendere la realtà nel film restandole quanto più fedele è possibile, usando spesso attori non professionisti come in questo caso, emblematici i nomi dei personaggi che snon quelli dell’anagrafe, e spazi reali rinunciando a set cinematografici. Per le sue caratteristiche i film che si rifanno a questo movimento culturale hanno spesso un richiamo al documentario e la La Pivellina non è ad meno.

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Neorealismo su Wikipedia

Sito del film

::P.S::
Fino ad adesso mi son dimenticato di segnalare il canale del CISA su iutub, che raccoglie piccoli video girati dagli studenti del primo anno di questa scuola.