Premessa: dovrei rivedere il film perché in lingue originali – francese, corso e arabo – ho fatto un po’ fatica a capire e i sottotitoli in francese, che non traducevano la lingua francofona parlata, in certi momenti importanti risultavano un po’ veloci. Se qualcuno ha un link torrent me lo passi!
Un Prophète è il film di cui vi voglio parlare adesso. Lungometraggio impegnativo, indipendentemente dai problemi di lingua di cui ho parlato prima. Trovo che il regista voglia trasmettere il suo messaggio, o meglio, i suoi messaggi, attraverso l’immagine e il modo in cui essa viene pensata e ripresa, piuttosto che a parole e questo indubbiamente rende il film meno comunicativo, ma anche più intrigante. Malik El Djebena entra in carcere a 19 anni, povero e incapace di leggere e di scrivere. Subito la mafia corsa che governa i delicati equilibri della prigione, lo prende nella sua morsa e lo obbliga a commettere un omicidio come rito d’accettazione, anche se all’inizio sembra più un pizzo per la vita, sfruttando le sue origini arabe per avvicinarne un altro che, subodorando qualcosa, non interagisce con gli altri detenuti. Malik è combattuto e assorto nei suoi pensieri, ma riesce comunque a chiedere di parlare prima con il capo, che però è assente senza motivo, quindi con il capo reparto, ma questo è sottomesso da Luciani, boss dei corsi, e quindi il protagonista viene minacciato dai suoi stessi ricattatori. Terribilmente realistica, la scena in cui il protagonista taglia la gola alla vittima. Da qui comincia un cammino nel quale Malik El Djebena scopre ciò che si trova attorno e agisce di conseguenza, diventando pian piano più scaltro e freddo, riuscendo a cogliere al volo le piccole possibilità che gli vengono date. Interessante come, dal piccolo periodo passato con la sua vittima, viene a sapere che c’è la possibilità di frequentare una scuola tra le sbarre; questo aspetto dimostra bene la furbizia gattovolpesca che il protagonista man mano assume. Il percorso che Malik El Djebena compie è una scalata verso l’impero della malavita, chiaramente non privo di sofferenze. Riesce ad entrare in confidenza con Luciani e i corsi, dai quali impara anche la lingua, e grazie a questo assume gli attrezzi del mestiere e il potere in carcere. Si avvicina agli arabi, capendoli e trattando per loro anche grazie alle sue origini. Interagisce con i marsigliesi attraverso la sua scalterzza e sincerità disarmante, approfittando delle uscite per "buona condotta" che le autorità competenti gli danno, anche grazie alle pressioni dei corsi. Si destregga quindi, Malik, tra i vari clan, da qui ha origine il soprannome che gli viene appioppato e che ritorna nel titolo, e pian piano neutralizza la potenza degli uni e degli altri, usando, per esempio, il tristemente noto divide et impera e gli insegnamenti che ha saputo afferrare. Un uregiatt, diremmo in Ticino, ma un po’ più sveglio dei pipidini. Il regista non tralascia nemmeno il lato sentimentale nel rapporto che il protagonista instaura con un amico collega. Sono proprio la figlia e la moglie di quest’ultimo, morto di cancro, che Malik El Djebena trova alla definitiva uscita dal carcere, assieme a tre macchine, di tre clan diversi, che lo seguono sfuocate in secondo piano, individuando in lui il nuovo capo. Non sono ancora riuscito a capire definitivamente quest’ultima scena: potrebbe volersi lasciare alle spalle tutto, oppure continuare la sua scalata contando sull’appoggio di tre gruppi. Un ultimo appunto: il regista in una delle sue apparizioni ha detto: "In questo film la prigione è una metafora della Francia. Con questo non voglio dire che essere liberi o carcerati è la stessa cosa. Voglio dire che in prigione si ricreano, esasperati, i meccanismi sociali, psicologici, etnici, religiosi, di classe che condizionano la nostra vita sociale"; indubbio che questo aspetto si nota e che il regista abia voluto creare una micro realtà sociale dove i tratti caratteristici vengano esasperati a tal punto da risultare evidenti, anche se, su questa visione della Francia ho parecchie riserve, ma questo è un discorso che affronterò in un altro momento.
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