Secondo film del concorso 16-20 a Castellinaria, Pandora’s Box. Opera diretta da una regista donna, di cui sul momento non ricordo il nome, che ha ricevuto riconosciementi al festival di San Sebastian. Il titolo può essere tradotto con Il vaso di Pandora e si rifà alla mitologia greca: Zeus vuole punire gli uomini, quindi dona a Pandora un vaso che contiene tutti i mali possibili, ma anche un dono fondamentale, la speranza. Quando Pandora apre il vaso le sventure più terribili si liberano sulla terra e sul fondo rimane l’unica cosa positiva, la speranza appunto. Pandora poco tempo dopo riapre il vaso, donando agli uomini anche il barlume per poter continuare. Questa è esattamente la figura che assume Nusret, madre di due figlie, una delle quali già madre e di un figlio. La maggiore, Nesrin, ha una situazione sentimentale difficile con il marito dal quale non riceve più nessun stimolo piacevole ed è preoccupata per il figlio Murat che si sta staccando dalla famiglia cercando la sua strada e non si fa più vedere a casa per diverso tempo, ma nonostante tutto questo appare come una donna con una posizione sociale favorevole e stabile. Come la figlia di mezzo, Güsrin, che ha un lavoro sicuro in un giornale e ha una relazione con un ragazzo che non si conosce. Il figlio minore si ribella a tutto questo e vive nel centro vecchio e apparentemente malfamato della capitale turca fumando e bevendo tutto il giorno e sembra quindi non realizzato nella vita, anche se alla fine risulta essere più felici delle due sorelle soffocate dal modo di vivere che tanto rinfacciano al fratello minore; da lui si rifugia Murat, alla ricerca di qualcosa di diverso dalla via consona alla società che hanno scelto i suoi genitori.
Ammalata di Alzhamier la nonna/mamma si perde nelle sue amate montagne, in una valle Turca. Le due sorelle e il fretello partono quindi in un viaggo alla ricerca della mamma e di loro stessi, lasciando Istambul per dirigersi verso il loro paese natale tra mille difficoltà. Il viaggo rappresenta senza dubbio un momento importante per le due donne e l’uomo che si ritrovano con tutte le loro differenze e si scontrano senza esclusione di colpi nonostante la loro fratellanza. In questo momento devo però inserire una critica: anche se questa parte aiuta lo spettatore a comprendere le dinamiche famigliari, importanti per il resto del film, risulta essere un po’ tirata per le lunghe. Ma riprendiamo con il racconto. Arrivata nella capitale turca Nusret non si trova per niente e la malattia, non ancora certificata clinicamente, provoca dei problemi di convivenza con con il figlio e le figlie. Le difficoltà aumentano sempre più, quando Nusrin porta ad una visita la madre Nurset. La diagnosi è lapidaria: morbo di Alzhaimer. Comincia quindi un percorso attorno a questa famigli allargata che porta la madre a vedersi chiusa in un istituto dal figlio, ribelle a tempo perso, e dalle figlie, apprentemente inserite socialmente. Ma le due figlie e il figlio trarranno beneficio da questa nonna/madre che si lancia a bomba nella loro vita: aprire gli occhi verso il mondo che li circonda e che vivono giornalmente, per riflettere, se pur tra mille dolori, sul perchè del loro vivere e riaccendendo in loro una speranza. L’unico che riesce però ad instaurare un rapporto vero con la nonna Nurset è Murat, figlio di Nusrin. Liberandola dal centro in cui era satata portata la riporta tra i suoi monti amati e dopo un periodo di vita comune, segnato comunque dalle difficoltà che la malattia porta, la lascia andare tra le montagne a morire dopo una sua richiesta molto toccante: "Lasciami tornare tra le mie montagne, prima che mi dimentichi anche quelle". La scena finale, che ritrae quanto appena detto, mostra una montagna filmata molto lentamente in verticale, con Nurset che piano piano la risale, mentre Murat la guarda da lontano piangendo, comunque consapevole che ha fatto la scelta giusta, rispettando la volontà della nonna. Ho trovato le riprese e le immagini di questo film bellissime e molto funzionali al racconto, che risulta essere semplice e facilmente seguibile, nonostante la complessità dei messaggi che il film lancia. Un aspetto importante che viene trattato è il rapporto tra le grandi città e le campagne, la migrazione da queste ultime verso i centri abitati e il rinnegamento del paese e delle radici d’origine; anche il passaggio repentino che la Turchia ha subito per adattarsi agli standart della Fortezza Europa viene mostrato con scetticismo. Un film che, narrando le vicende di una piccola famgilia turca, riesce a portare delle critiche molto pesanti e articolate alla società che oggi ci attornia e ci attanaglia.
[Castellinaria] Pandora’s Box
Novembre 18th, 2009 | Immagini'n'video
1 comment so far ↓
La registra è Yesim Ustaoðlu, davvero un bel film!